Personaggi Illustri

Antonio De Pellegrini

Via A. De Pellegrini è la strada che dal lato sud della piazza raggiunge le Scuole Medie di Porcia. Chissà se qualcuno dei molti alunni che la percorrono quotidianamente si sarà mai chiesto chi era costui ? Ed i concittadini, salvo qualche anziano, ne hanno mai sentito parlare? La ProPorcia in questo spazio tenta di dar luce ad un personaggio autore, per quasi un trentennio, di una vasta rassegna di pubblicazioni sulle vicende antiche di Porcia, apprezzate dai critici e dagli esperti del tempo.

Antonio De Pellegrini nacque a Porcia il 27 dicembre 1864, abitava in una antica casa posta al limite della Calle delle Mura, proprio accanto alle mura castellane. Compì i suoi studi a Padova laureandosi in belle lettere, distinguendosi brillantemente per gli esami in filologia.

Iniziò il suo primo insegnamento a Genova dove maturò la vocazione per gli studi storici. Nel 1904 diede alla luce il suo primo lavoro“Schiavi e manomissioni”. E’ una raccolta di sette documenti che vanno dal 1332 al 1367 con una dotta premessa riguardante l’argomento della manomissione (liberazione) medioevale degli schiavi. E’ bene precisare che il De Pellegrini fu un assiduo (ed invidiabile) ospite dell’archivio dei conti di Porcia, ove egli potè consultare e ricopiare documenti che alimentarono, come fonti storiche, le sue pubblicazioni.

Dopo Genova il professore ritornò nel Veneto, a Venezia, dove, per lunghi anni, insegnò lettere all’Istituto Paolo Sarpi. Sempre nel 1904 pubblicò con dotta premessa e precise note in circa 150 pagine le notizie raccolte da Enea Saverio di Porcia degli Obizzi su “I primi da Prata e Porcia”: è il primo lavoro ove le notizie sulla casata dei di Porcia sono stese con rigore storico.

Collaborando alla rivista “Pagine Friulane” scrisse nel 1907 sul ” Conte Bartolomeo di Porcia e la controriforma in Germania”. Unitamente all’avvocato Egidio Zoratti, altro studioso storico, pubblicò nel 1908 “Gli Statuti di Prata” fornendo una esauriente premessa storica accogliente nel testo anche la notizia delle due arche pratensi di S. Giovanni dei Cavalieri.

Nel 1908 in un breve opuscolo rese noti i “Capitoli approvati dai conti di Porcia per mettere ordine nel Comune di Fontanafredda nel 1596”. Nello stesso anno compose due monografie, una su “Un documento su Venezia e gli schiavi fuggitivi” e l’altra su “Documenti di Jus servile” Le invasioni turchesche in Friuli che devastarono nel XV secolo i nostri territori avevano lasciato larghe tracce nell’archivio purliliese ed egli vi attinse per la pubblicazione di 5 o 6 monografie.

Segnaliamo “Le incursioni turchesche in Friuli ed i castelli di Porcia e Brugnera” del 1911. Nel 1912 nelle “Memorie storiche Forogiuliesi”, “I danni arrecati dai Turchi alle terre e coloni delle Monache di S. Maria d’Aquileia”. Nel 1913 in Archivio Veneto inserì un’altra ricerca con “Note e documenti sulle incursioni turchesche in Friuli al cadere del secolo XV”.

In “Memorie storiche Forogiuliesi” rese noto nel 1914 “Un documento sul passaggio a Spilimbergo di Beatrice regina di Ungheria nel 1476”.

In altra monografia nel 1914 scrisse del “Concorso della Comunità di Aviano alla guerra di Cipro”.

Nel 1915 diede alle stampe uno dei suoi lavori più impegnativi denso di note e documenti inediti per ben oltre 300 pagine. Il volume “Le genti d’arme della Repubblica di Venezia ed i condottieri Porcia e Brugnera”.

Con la prima guerra mondiale, l’archivio dei conti Porcia venne disperso, ma gli appunti, diligentemente raccolti e conservati nella sua casa, permisero al professore De Pellegrini di ricostruire qualche antica vicenda della nostra terra.

Nel 1920 in 30 pagine pubblicò “I Banchi di pegno degli ebrei nei castelli di Porcia e Brugnera”.

Seguì nel 1920 “Giacomo da Sacile detto il Mamalucco” singolare tipo di guerriero che fu ingaggiato per istruire le truppe purliliesi. Lo faceva nei prati a nord dell’odierna Pontebbana, in località ancor oggi detta “Mamaluc”.

Nel 1921 pubblicò “Di due turchi schiavi del Conte Silvio di Porcia dopo la battaglia di Lepanto” con quattro documenti. Ancora nel 1921 diede alle stampe in 40 pagine le “Note e documenti sul castello di Ragogna” e nel 1922 riprese il tema delle invasioni turchesche scrivendo sui “Timori dei Turchi in Friuli durante la guerra di Cipro” in circa 50 pagine con 12 documenti.

Un accurato studio di 80 pagine su “Aviano, i Tolentini, i Gabrielli” vide la luce nel 1923.

Nel 1924 stampò un opuscolo con notizie riguardanti i “Personaggi Illustri nel castello di Porcia e il suo territorio”, volume di 20 pagine e di 6 documenti.

In occasione dell’inaugurazione dell’Asilo Infantile nel 1925 (oggi Monumento ai Caduti), diede alla luce i “Cenni storici del castello di Porcia e suo territorio”, volume di circa 170 pagine al quale si deve sempre ricorrere quando si vuole parlare di Porcia.

Seguì altro volume nel 1929: il “Regestario di un archivio purliliese del Seicento” elencante in 176 pagine ben 783 documenti esistenti nell’archivio purliliese, con largo commento e note.

Nel 1930 stese le note per un “Brano di cronaca della famiglia Gabelli” in un opuscolo di circa 40 pagine con particolari notizie sui componenti di questa antica famiglia.

Del 1931 è la monografia su “Montereale Cellina e l’invasione turchesca del 1499” densa di documenti per circa 40 pagine. Ultimo suo lavoro si intitola “Caccia e Pesca nella giurisdizione dei conti di Porcia e Brugnera” uscito alla luce con notizie e documenti interessanti queste attività nel periodo medioevale.

Non molto tempo dopo essere stato collocato in quiescenza dall’Istituto Sarpi, fu colto da malattia che non gli lasciò scampo. Morì in Porcia nel 1932.

Un’ opera, rimasta tra i suoi appunti, la copia del “Trattato sulla caccia e pesca di Jacopo da Porcia”, venne pubblicata postuma dal prof. Andrea Benedetti.

L’elencazione di gran parte delle opere, alle quali molti studiosi si sono ispirati per le loro ricerche storiche, avrà, da un lato, appesantito le notizie biografiche sul nostro illustre storico Antonio De Pellegrini, ma dall’altro avrà contribuito, ce lo auguriamo, a rendergli quell’onore che Porcia non gli rese in vita.

Tratto da un articolo di Antonio Forniz in “Bollettino Parrocchiale” dicembre 1970

Aristide Gabelli

Via Gabelli in quel della frazione di Roraipiccolo è una tra le vie più frequentate dal traffico del nostro paese. E’ importante non solo perché rappresenta l’asse stradale che porta alla Pontebbana e quindi verso gli insediamenti produttivi, ma anche perché è intitolata all’insigne pedagogista Aristide Gabelli. Questo personaggio lo si trova ricordato anche in una targa marmorea posta sulla facciata del civico n. 8 di Via Villa Scura, nel centro di Porcia. Ma chi era costui?

Per quanto non nato a Porcia, infatti i natali glieli diede Belluno nel 1830, esce dal ceppo di una stimata famiglia che risiede sin dal XVIII secolo in Roraipiccolo.

(1) Fu studente dapprima a Venezia e a Padova, poi a Vienna, formandosi alla severità e al senso della concretezza della scuola austriaca. Esule politico nel 1859 prima a Firenze e Torino ed infine a Milano, era entrato in contatto con gli ambienti del “Politecnico” di Carlo Cattaneo e aveva scritto per questa rivista il suo primo importante saggio pedagogico ”Sulla corrispondenza dell’educazione alla civiltà moderna”.

L’incontro con l’insegnamento del Cattaneo fu importante perché orientò il suo senso concreto e pratico verso un positivismo metodologico aperto alle situazioni mutevoli della realtà e agli apporti dell’intelligenza umana. Il suo metodo era volto a promuovere quella che egli definiva “la rigenerazione del popolo”, rendendo “positivi” gli ideali popolari, richiamando politici e uomini di scuola allora impegnati a “fare gli italiani ” a considerazioni realistiche, liberandosi o dalla illusione romantica, o dalla nostalgia del passato.

(2) Nella didattica, fu assertore del “metodo intuitivo”, ovvero della necessità di adeguare l’insegnamento alle possibilità di apprendimento del fanciullo e di basarlo sull’intuizione concreta e non sull’astrazione verbale. Perciò si adoperò per l’introduzione del lavoro manuale e delle sperimentazioni nelle scuole italiane. (1) Tale, dunque, sarà il metodo della scuola in generale e quindi esso verrà adottato nel suo spirito anche nelle elementari.

(2) Partecipò alla vita politica, collaborando attivamente alle riforme scolastiche in qualità di provveditore centrale al ministero della pubblica istruzione e di deputato alla camera.

La sua opera filosofica fondamentale è “L’uomo e le scienze morali” (1869), la principale opera pedagogica “L’istruzione in Italia”, raccolta postuma (1891-1892) dei suoi scritti migliori in materia.

(1) Il nome di Gabelli resta vivo proprio per l’importanza attribuita al metodo, cioè alla capacità della scuola di “formare delle teste”, cioè delle persone in grado di avere un proprio criterio di giudizio e di analisi. Morì a Padova nel 1891.

Cenni bibliografici da: (1)NOVECENTO PEDAGOGICO Giorgio Chiosso

Editrice La Scuola 1997 (2)Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000

 

 

GIOVANNI TOFFOLI (abate Toffoli)

“Giovanni Toffoli nacque a Porcia il 27 maggio 1819 e morì il 29 settembre 1884. Scrive Forniz che Toffoli viveva all’angolo tra il vecchio borgo San Cristoforo e Via Villa Scura, in una casa ornata da una graziosa Annunciazione dipinta a fresco ai due lati del portale …

Nel 1826 Giovanni compare iscritto nell’elenco dei bambini frequentanti le scuole elementari minori comunali. Avviato poi agli studi teologici, è ordinato sacerdote nel 1841, all’età di 22 anni: a Porcia celebrerà la sua prima Messa. Sarà cappellano nella parrocchia di Palse e dal 1845 figura anche nella parrocchia di Porcia in qualità di maestro cappellano; successivamente, ottenuta l’abilitazione all’insegnamento elementare come previsto dal Governo austriaco, sarà maestro comunale. Don Giovanni Toffoli sarà successivamente chiamato “abate” in quanto beneficiario di una rendita, il beneficio di Santa Maria, dal quale gli derivavano anche gli obblighi di maestro.

Non solo sacerdote e maestro, l’abate Toffoli si distinse anche come valente ritrattista e paesaggista. Allievo e amico dell’artista Michelangelo Grigoletti, del Toffoli si conservano in collezioni private e in musei numerose opere, tra le quali la sanguigna su carta Castello di Porcia, ritratti dei genitori e di personalità del tempo, il suo autoritratto e l’autocaricatura, nonché dipinti di soggetto religioso.

Una personalità eclettica quella dell’abate Toffoli, come emerge dai versi sdruccioli a lui dedicati da Giorgio Galvani: “Chi non conosce il nostro abate Toffoli, / pittor, poeta, poliglotto, affabile? / Eccolo là in giardin, per tôrti viottoli / lungo e magro se’ n va con pié instancabili. / Sbocciano al suo passar fiori e carcioffoli / mentre con man maestra inarrivabile / siepe converte e fossa ed aspri ciottoli / in macchie laghi di beltà mirabile. / Col gajo umor, col frizzo inesauribile / destò nei mille amici un’indelebile / senso d’ammirazione indescrivibile. / E a me, con l’estro mio sì flebile / ritrarlo in versi come fia possibile, / se mancami persin la rima in ebile?”

Giovanni Toffoli, nutrito di idee liberali, pur se sacerdote (alla voce anno 1848 egli è indicato tra i sacerdoti della parrocchia di Porcia nell’Almanacco Diocesano di Concordia) professò convinzioni di fiero patriota e insofferenza verso il dominio straniero, non deve quindi stupire il suo arresto nella breve stagione del ’48 friulano.

1870: la popolazione a Porcia raggiunge le 2176 unità, la Chiesa è non solo vetusta e in uno stato di degrado, ma ormai inadatta a ospitare il crescente numero di fedeli. All’abate Toffoli viene affidata la direzione amministrativa dei lavori di ampliamento della chiesa  arcipretale  su progetto di Silvio Pitter. Alle spese contribuì tutta la popolazione.

Dalla Lettera del Toffoli ai posteri – documento di proprietà della Canonica di Porcia        (Siamo dunque “Porciotti” o ……Purliliesi?)

Bibliografia: Caterina Diemoz e Stefano Aloisi – Giovanni Toffoli un abate artista nel Risorgimento friulano, Porcia 2008

 

 

Salvador Gandino

Salvador Gandino nasce a Porcia il 9 settembre 1617, riceve il battesimo nel giorno successivo con i nomi di Salvatore e Germanico. Null’altro si sa fino al 1644, anno in cui viene assunto come organista e maestro di cappella della città di Tolmezzo. Nel 1653, in veste di prete e mansionario d’Aquileia, pubblica a Venezia la sua opera prima, una Messa e Salmi a 3 4 voci dedicata “all’illustrissimo consiglio di Tolmezzo”. Dopo la pubblicazione, tra il 1653 e il 1655, delle opere seconda e terza, nel 1655 da alle stampe l’opera quarta Correnti et balletti con dedicatoria all’arciduca d’Austria Ferdinando Carlo. Il 2 aprile del 1655 il musicista acquista a Venezia, per 700 ducati, il soppresso conventino purliliese dei Serviti di S. Maria Maddalena. Nel 1658 pubblica, sempre a Venezia, l’opera quinta Messa e Salmi della B.V. Maria. Il 13 gennaio 1661 riceve dal Consiglio di Sacile il titolo di organista e maestro di cappella del locale duomo di San Nicolò. Nel 1675 “pre” Gandino inizia a prestare servizio nel Duomo di S. Marco a Pordenone e il 19 agosto 1676, anche in vista del fatto che “prestava buon servitio”, ottiene un piccolo ritocco allo stipendio ereditato da Tolussio e continua ad operare “con divota assiduità et applicatione nel suo lavoro” fino al febbraio 1681, anno della pubblicazione della Messa e Salmi opera settima. All’età di 64 anni, dopo un lungo periodo di attività e di spostamenti, don Salvatore decide di passare il resto dei giorni nel conventino purliliese acquistato a Venezia. Il 23 novembre del 1688 detta al notaio Giovanni Battista Flora il testamento in virtù del quale lascia al nipote “pre” Francesco il suo “sandalino” e tutti i libri di musica. La morte lo raggiunge nel suo rifugio il 23 febbraio 1690 “ ad hora una de notte” ed il giorno seguente trova l’estremo riposo nella tomba posta dinanzi all’altare della Concezione e dei Ss. Biagio ed Antonio della chiesa di S. Maria Maddalena.

Con le poche notizie biografiche, allo stato attuale disponiamo di due composizioni complete: Correnti e balletti opera quarta e la Messa e Salmi della B.V. Maria opera quinta, conservate entrambe presso il Civico Museo Bibliografico musicale di Bologna. Delle restanti opere, almeno tre non sono state ritrovate e due risultano incomplete di alcune parti. Si tratta della Messa e Salmi opera prima, di cui disponiamo solo della parte di Basso continuo conservato presso il British Museum di Londra, e della Messa e Salmi opera settima, di cui disponiamo il Canto e Basso Ripieni conservati presso la Newbberry Library di Chicago.

a cura di Carlo Corazza

Zancan Giovanni Battista

a cura di Robert Diemoz

GIOVANNI ZANCAN

Nel 1836 la famiglia Zancan inaugurava a Porcia l’officina artigianale per la lavorazione del ferro battuto. L’indole artistica del fondatore venne ereditata dal figlio Domenico, ma ampliamente superata dal nipote Giovanni che a 13 anni già affiancava suo padre rivelando abilità creative non comuni. Nato nel 1910 in questa terra solcata da emigranti, contadini ed operai, Giovanni Zancan cresce con un’unica ambizione: produrre opere nuove, sempre migliori, sempre più raffinate. Le prime mostre investono il territorio locale, poi quello nazionale e infine si affacciano in Europa e nel  mondo. Esse fanno conoscere ad una cerchia sempre più numerosa di intenditori l’umile  e bravo artigiano di Porcia. Incoraggiato dai consensi crescenti che gli giungono da ogni parte, Giovanni lavora con passione e accanimento, spesso trascurando il cibo e il riposo. Le sue esecuzioni – dai lampadari sapientemente intarsiati, ai vasi damascati, piatti,

ai volti umani resi con particolare intensità espressiva, alle cancellate per i battisteri come quella per la chiesa arcipretale di Porcia, alle formelle con raffigurazioni sacre per i portoni delle chiese come quella di Villanova di Prata di Pordenone, – conquistano, seducono gli osservatori di buon palato e li portano in Calle del Carbon nella Porcia vecchia ed operosa a conoscere l’autore. Tali esecuzioni raggiungono anche il grande pubblico grazie alla televisione e alle cronache italiane.

Suscita curiosità, e ammirazione allo stesso tempo, il fatto che Giovanni – unico probabilmente in Italia – produce i suoi pezzi completamente in laboratorio, secondo lo schema antico di sbalzo su ferro battuto senza processo di fusione; pezzi che giungono alle varie mostre con una finezza senza confronti. Ma ecco le varie fasi di lavorazione:

1 – Disegno
2 – Modello in creta preparato con attrezzi in legno
3 – Modello in gesso
4 – Cornice in erro sbalzato e forgiato
5 – Preparazione degli attrezzi, quali sgorbie, punteruoli, martelletti a cocchia (in quanto ogni tipo di lavorazione richiede attrezzature specifiche) da usare dopo la tempera
6 – Sbalzo su lamiera copiando il modello
il tutto con l’aiuto di due-tre operai per le operazioni sussidiarie (carbone, catrame, forgia ecc.)

Giungono così a visitare il laboratorio e Giovanni numerose e celebri personalità del mondo di allora, tra le quali il generale Badoglo, il duca d’Aosta, un inviato dell’imperatore Ailè Selassiè, quasi tutte in rigoroso incognito. Le opere di Giovanni raggiungono gli Stati Uniti, un pregevole busto di Mussolini viene acquistato dall’allora ministro canadese Troudeau. Le medaglie d’oro conseguite nei vari concorsi artistici non lo inorgogliscono, né cede alla tentazione di raccoglierle in un medagliere da porre bene in vista; egli, invece, le fonde per farne degli anelli matrimoniali da regalare ai promessi sposi più poveri. Che Giovanni lavorasse più per passione che per il guadagno a Porcia lo si sapeva; ma lo sapevano soprattutto coloro che riuscivano a farsi regalare lavorazioni per le quali avrebbero dovuto pagare fior di soldoni. Era fatto così: gli piaceva donare forse più ancora che ricevere; il denaro  non sembrava l’essenziale per lui. Ho conosciuto Giovanni Zancan nel 1975, due anni prima della sua morte. Pareva un sopravvissuto. Quella passione prorompente per l’arte, che aveva adombrato in lui ogni altra passione, non gli aveva lasciato tempo per sposarsi e viveva con le sorelle. Lavorava poco ormai e trascorreva buona parte del suo tempo seduto davanti a un bar del centro. Conversando con lui ebbi l’impressione di trovarmi di fronte ad un uomo che si sentiva a disagio in un mondo diventato troppo piccolo, troppo gretto per lui. Le sue parole rivelavano una certa disaffezione generale ma anche una sommessa ironia per questa società, negli anni settanta, che sembrava correre verso il peggio. Encomiato, lusingato da uomini potenti e facoltosi ai tempi del successo, egli è rimasto tutta la vita povero, schivo e riservato. E da povero si è spento in una stanzetta disadorna dell’ospedale. Ha lasciato agli eredi opere di un valore inestimabile, un patrimonio che rimane ad onorare la memoria di un uomo di grande nobiltà interiore, che amava l’arte ed è vissuto per l’arte.

Alcune mostre e fiere a cui Zancan, (Via Asilo, Porcia) fu presente:
2° Fiera nazionale dell’artigianato: 20 marzo – 3 aprile 1932 – Firenze
IV Fiera nazionale dell’artigianato Firenze 17 marzo – 31 marzo 1934
6° Fiera Campionaria del Friuli Venezia Giulia Pordenone
23 agosto – 8 settembre 1952
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CONSEGNA DEI PREMI AI BENEMERITI DEL LAVORO E
DEL PROGRESSO ECONOMICO
UDINE CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA 1957
Zancan Giovanni – Maestro d’arte Ferro Battuto
 “Medaglia d’oro Artistica Industriale”

PREMIAZIONE FEDELTA’ AL LAVORO E PROGESSO ECONOMICO
CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA PORDENONE
Azienda Artigiana Zancan Giovanni
“La bottega artigianale dei fabbri Zancan risale al 1840 circa. L’attività fu iniziata dal bisavolo e fu in seguito tramandata da padre in figlio. L’attuale proprietario Zancan Giovanni fu avviato dal padre, esperto artigiano del ferro battuto, a questa attività e a 13 anni già cooperava con lui. Appassionato d’arte, buon disegnatore  e modellatore, Zancan Giovanni ha dato subito un’impronta personale alla produzione. Molti lavori artistici eseguiti dall’azienda sono stati esposti in Italia e all’estero ed hanno ottenuto meritati e significativi riconoscimenti.”